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“…il
bene è collettivo”. Questa è la sintesi che dopo tre giorni trascorsi con
Ernesto L. Francalanci in Val di Fassa riesco a fare mia. Il bene è collettivo,
cosi come deve essere l’arte e il design. Aspirare a far crescere un’arte per
tutti richiede all’artista un impegno sociale e politico. Se nel passato si
chiedeva all’arte di inventare mondi, oggi all’artista si chiede di svelare la
realtà, indicando “con il dito” i punti di debolezza della società. Questa
operazione filosofica, prescinde dal fatto di vivere a New York o nella Heimat,
ammettendo che oggi la periferia non esiste più. Lo scontro deve
neccessariamente partire da un punto qualsiasi, poiché oggi le reti di massa ci
permettono di raggiungere chiunque, in entrata e in uscita, anche perché l’arte
come la scienza non sono legate mai al territorio.
Se
è vero che oggi non ci sono più distinzioni tra categorie, tra l’ordine e il
disordine, tra il pubblico e il privato, tra la moralità e l’immoralità, tra
spettacolo e tradizione, tra finzione o realtà ecc., allora il problema diviene
“di bordo”, di confine, dove la società globale, o almeno occidentale ha scelto
la sfumatura leonardesca, che con velature e sovrapposizione di colore vela il
contorno delle cose, permettendo ambiquità diffuse che inevitabilmente
confondono la realtà.
Questo
meccanismo non troppo tecnologico ma quasi memetico permette l’esaltazione dei
miti del nostro tempo che tendono a presentarci la realtà deformata e sfasata,
spesso comoda e leggera, negando le vere possibilità di progresso della
società.
La
rappresentazione pittorica della figura e dello spazio può concorrere a
restituire in parte la realtà nei suoi contenuti, usando la metafora o la
citazione piuttosto che la metonimia.
Solo
negando l’apparenza e il linguaggio delle immagini di oggi, più vere del vero
(per questo finzione !), possiamo ritrovare un equilibrio oggettivo che può
mettere al centro l’uomo e non la sua immagine, lavorare con l’arte dove “il
fare” diviene più importante che “il fatto”. Infatti l’arte oggi deve essere
più una questione filosofica che estetica.
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